Quando i geroglifici danzano (numerico)

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Un giovane egiziano, segnato da un destino sacro, intraprende un cammino di iniziazione costellato di prove: immersioni nell’oscurità, attraversamento del deserto, rivalità silenziose e un amore profondo. A ogni tappa, cresce grazie all’ascolto, alla compassione e al coraggio di ballare con la sua ombra. Un racconto di iniziazione in cui saggezza antica e risveglio del cuore si uniscono in una danza interiore.

Quando i geroglifici danzano (numerico)

Nell'antico Egitto, al cuore di un destino tracciato dagli dèi, Khnoumhotep, un giovane villaino segnato da una nascita eccezionale, lascia la sponda familiare per unirsi al tempio di Philae. Qui ha inizio un cammino iniziatico seminato di prove: le tenebre di un bacino sacro, la solitudine del deserto, i silenzi carichi di rivalità… Ma ogni prova rivela in lui una forza insospettata — una forza fatta di ascolto, di compassione e di unità, che cresce man mano che si apre al mondo e a sé stesso. Tra saggezza dei sacerdoti, sguardi dei rivali e amore silenzioso di Ipy, Khnoumhotep scopre il vero eroismo: una danza interiore tra paura e coraggio, tra ombra e luce, dove ogni passo verso di sé è un passo verso il sacro. Quando i geroglifici danzano è un racconto profondo e poetico, dove l'anima umana si sveglia al ritmo degli elementi, delle stelle… e del cuore.


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Descrição

Nell’antico Egitto, al cuore di un destino tracciato dagli dèi, Khnoumhotep, un giovane villaino segnato da una nascita eccezionale, lascia la sponda familiare per unirsi al tempio di Philae. Qui ha inizio un cammino iniziatico seminato di prove: le tenebre di un bacino sacro, la solitudine del deserto, i silenzi carichi di rivalità… Ma ogni prova rivela in lui una forza insospettata — una forza fatta di ascolto, di compassione e di unità, che cresce man mano che si apre al mondo e a sé stesso.

Tra saggezza dei sacerdoti, sguardi dei rivali e amore silenzioso di Ipy, Khnoumhotep scopre il vero eroismo: una danza interiore tra paura e coraggio, tra ombra e luce, dove ogni passo verso di sé è un passo verso il sacro. Quando i geroglifici danzano è un racconto profondo e poetico, dove l’anima umana si sveglia al ritmo degli elementi, delle stelle… e del cuore.

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Capitolo 1: L’Argilla Grezza del Nilo

Il sole, come un occhio di Rê ancora ardente, martellava i mattoni crudi del villaggio vicino a Kom Ombo. Ma il bambino non lo sentiva. Khnoumhotep era un mondo a sé, inginocchiato nella freschezza del fango, le sue braccia nude, immerse fino ai gomiti nell’abbraccio scuro del Nilo. Le sue dita, agili e pazienti, palpavano il fango, alla ricerca del blu sacro delle carapaci degli scarabei. Era un blu vibrante, un colore che solo la terra poteva donare. Un blu profondo, costellato di promesse, che portava in sé il soffio del rinnovamento. Sapeva che quelle creature rare e inafferrabili vivevano sulla soglia del mondo dei vivi e quello degli antenati. Lo sciabordio dell’acqua, il canto rauco dei pescatori: ecco la melodia della sua ricerca.

L’odore del fango, ricco e potente, si mescolava a quello più delicato dei loto, creando un profumo inebriante che stordiva il bambino. In quel fango c’era la vita e la morte, un ciclo eterno che il suo cuore di bambino comprendeva senza parole. Dal fango si costruivano le case. Dal fango si traeva il sostentamento. Era il crogiolo dell’esistenza.

All’improvviso, le sue dita incontrarono una resistenza, dura e liscia. Una forma che non avrebbe dovuto essere lì. Con una delicatezza infinita, liberò l’oggetto. Era una piccola statuetta di Hathor, erosa dal tempo. Il sorriso benevolo della dea era ancora visibile. Il marmo bianco sembrava vibrare di un calore anomalo tra le sue mani, un sussurro silenzioso percorse tutto il suo essere, come un presagio. Stringeva la statuetta contro il petto, sentendo una vibrazione propagarsi in lui, un’eco di una storia molto antica, ben più vasta del Nilo.

Il sole si velò all’improvviso. Il cielo si oscurò. Un’ombra immensa scivolò sull’acqua e coprì Khnoumhotep. Lo splendore della statuetta si spense. Il bambino alzò la testa. La vide. Era lì. Nata dall’ombra proiettata delle canne, una figura femminile si ergeva sulla riva. Un’apparizione inattesa, una visione di purezza e mistero. La sacerdotessa. Il suo lino, di una bianchezza immacolata, rifletteva gli ultimi bagliori del sole al tramonto, come se solo lei potesse cogliere la loro essenza. I suoi occhi, di un nero profondo, non lo guardavano solo, lo leggevano, come un papiro sacro, un testo di cui era ancora lontano dal comprendere il significato.

Si chiamava Meritites, e il suo nome si sussurrava con un misto di rispetto e timore, come un vento potente ma invisibile che si avvolgeva intorno all’anima dei villici. Si avvicinò, il suo passo era silenzioso, fluido. Il suo essere sembrava tessuto di silenzio e luce. Khnoumhotep, il cuore che batteva forte, le porse la statuetta di Hathor, incapace di vederla come una semplice donna di carne.

« Il fiume ti ha parlato, bambino, » disse lei, la sua voce era dolce, e senza sforzo, portava sopra il mormorio dell’acqua. « Il fiume ti parla… »

Meritites annuì, un sorriso enigmatico sulle labbra. Ma il suo sguardo si posò su uno scarabeo blu che si era appena liberato dal fango, vicino alla mano del bambino. Lo scarabeo era di un blu così profondo da assorbire la luce, un gioiello vivente emerso dall’argilla.

Con un gesto rapido e preciso, lo afferrò, una scintilla di vita nel suo palmo. L’insetto dibatteva le zampe nella sua mano. « Perché piangere la fine di una sola vita, » mormorò, più a sé stessa che a lui, « quando si tratta di iniziare una nuova? »

Poi, chiuse la mano. Un crepitio secco e terribile si udì. Il suono era acuto, stonato nella calma del crepuscolo. Khnoumhotep ebbe un singulto di stupore. I suoi occhi di bambino si riempirono di lacrime, una tristezza infinita si impadronì della sua anima di fronte a quella fine brutale.

Meritites riaprì il palmo. Il gioiello blu non era altro che una polvere iridescente mescolata al fango. « Perché? » balbettò il bambino, la voce spezzata, la gola serrata.

La sacerdotessa non rispose. Invece, intinse il dito nell’incavo della sua mano, mescolando la polvere della carapace, il fango e l’acqua del Nilo. Un’unzione sacra, un’alchimia divina. Si chinò, prese il mento di Khnoumhotep, e tracciò lentamente un geroglifico sulla sua fronte. Il contatto non era né caldo né freddo. Era una bruciatura silenziosa, una sensazione di vuoto che si apriva in lui, come se un sentiero si fosse appena disegnato dentro la sua stessa anima. Per la prima volta, percepì l’immensità del mondo e la piccolezza della sua vita. Dolore e meraviglia si intrecciavano, creando una sensazione paradossale di dolore voluttuoso. Non capiva, ma sentiva. Sentiva che la sua vita era appena cambiata, che il suo destino si era ancorato a qualcosa di più grande, più potente della semplice esistenza che aveva conosciuto.

Il volto di Meritites si addolcì quando vide il villaggio animarsi, nuovi volti erano apparsi. Khnoumhotep, gli occhi spalancati, si voltò verso i suoi genitori, che si avvicinavano con un misto di preoccupazione e orgoglio. Il villaggio era in festa, i canti si alzavano, i tamburi risuonavano. Il padre del bambino, un uomo dal sguardo fiero e dal sorriso largo, si fece avanti, il braccio passato intorno alle spalle della moglie, i cui occhi brillavano di lacrime di gioia.

« Signora, » iniziò lui, la voce piena di una gioia tremante, « sapevamo che un grande destino attendeva nostro figlio. Lo sentivamo nell’acqua del Nilo, nei gridi dei pescatori, nell’aria che si riempiva della benedizione di Hathor. Sapevamo che saresti venuta, perché il fiume stesso ci aveva fatto presagire. »

La madre di Khnoumhotep, il volto abbronzato dal sole, aveva le mani giunte in segno di preghiera. Non temeva la sacerdotessa. La rispettava, l’accolse. Vedendo in lei lo strumento degli dei, colei che veniva ad adempiere una promessa fatta al cielo e alla terra.

Meritites si voltò verso di loro, il suo sguardo rasserenò la tensione dei loro cuori. « Non è un’offerta, ma un ponte. Temete di perderlo, e la vostra paura è giusta. Ma il tempio di Iside non ruba i figli alle loro famiglie. Intreccia il loro destino con quello degli dei e dell’invisibile. »

Fece un gesto verso il fiume che li nutriva tutti. « Il Nilo stesso ci insegna. Durante la stagione dell’inondazione, quando la terra si riposa sotto le acque, il suo spirito si sveglierà a Philae. Imparerà i canti, gli scritti e i segreti delle stelle. Ma quando le acque si ritireranno per rendere la terra fertile, tornerà da voi. Tornerà ogni anno, » insistette dolcemente, posando il suo sguardo sulla madre del bambino. « La sua anima crescerà con noi, ma le sue radici rimarranno qui, nel limo che l’ha visto nascere. Imparerà a leggere i geroglifici senza dimenticare come riparare una rete. Non c’è bisogno di scegliere tra cielo e terra, dobbiamo camminare tra i due. »

I villici si erano radunati intorno a loro, ascoltando ogni parola con rispetto religioso. Vedendo in Khnoumhotep la promessa di una benedizione per la loro comunità. Il padre, l’uomo taciturno il cui volto corrugato tradiva la gioia, comprese quel linguaggio, quello del fiume e delle stagioni. Afferrò il braccio di Meritites, gli occhi brillanti di ammirazione. « Che gli dei ti benedicano, signora. Nostro figlio camminerà nella luce di Iside. È l’onore del nostro villaggio. »

Sua moglie, invece, lasciò sfuggire una lacrima, non di tristezza, ma di una speranza così vasta e travolgente da essere dolorosa. Vedendo già suo figlio, cresciuto, diverso, ma sempre suo. I canti ripresero, i tamburi batterono più forte, e tutto il villaggio celebrava la grandezza del bambino che stava per partire per tornare migliore.

Meritites si chinò un’ultima volta verso Khnoumhotep, il cui volto era ora più sereno. « Questo segno sulla tua fronte, bambino, non è un marchio di possesso. È una porta. Osi attraversarla? » Khnoumhotep guardò sua madre, che fece un cenno di assenso quasi impercettibile, poi suo padre, che aveva posato una mano rassicurante sulla spalla di sua moglie. Tutto il villaggio era un mormorio di approvazione e incoraggiamento. La paura era ancora lì, ma ora era mescolata alla promessa rassicurante del ritorno. Annuì lentamente.

Mentre la barca si allontanava dalla riva, Khnoumhotep gettò un ultimo sguardo al suo villaggio. Non lo lasciava per sempre. Partiva per imparare a vederlo diversamente. Lasciava l’argilla grezza del Nilo per il santuario della Dea, con la certezza di ritrovare il calore della sua casa e il conforto di sua madre.

Il sole al tramonto, come un geroglifico di fuoco, si rifletteva sulla scia della barca. Vi indugiò a lungo, assumendo la forma di un dio che non riconosceva ancora, un dio che lo attendeva nelle profondità del suo cuore e sulle rive familiari della sua casa. Era l’essenza del suo destino, un’eterna inondazione e un’eterna ritirata, che avrebbe lasciato dietro di sé una terra più ricca e fertile. Khnoumhotep era il fango e il cielo, l’uomo e il dio, la vita e la promessa.

Capitolo 2: La Barca delle Stelle Couchant

Il sole, un occhio di falco ferito, si spegneva dietro le dune ocra, lasciando il cielo dissolversi in un lavaggio di porpora e oro. Khnoumhotep, i piedi nudi aggrappati al legno liscio e consumato della barca, sentiva la freschezza notturna leccare la sua pelle.

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